IL MATRIMONIO DI UN TEMPO E LA DOTE DELLA SPOSA
La nascita di un figlio ha sempre portato gioia nelle famiglie sin dai primi secoli anche se, nel caso in cui a nascere era una femminuccia, per la famiglia era l’inizio di un impegno economico verso di lei e verso la società: conosciamo il Savuto a partire dalla seconda metà del 1500. Tra i vari documenti notarili che oggi rappresentano un vero e proprio tesoro culturale, ritroviamo molti atti in cui viene descritto, proprio davanti al notaio, ciò che la famiglia dava in dote insieme alla propria figlia. La dote era composta anzitutto dal corredo che veniva preparato sin dai primi anni di vita grazie alla madre della sposa e in molti casi dalla nonna e dalle zie che spesso vivevano nella stessa casa. La dote rivestiva molta importanza poiché senza essa era difficile trovare un buon partito e ciò diventava motivo di “vergogna” nella società poiché, una figlia senza dote rischiava di rimanere “zitella” e quindi un carico economico in più per la famiglia. Ma cos’era questa dote? Un biglietto da visita? Una sicurezza? Era semplicemente un impegno che ancora oggi in molti paesi del Savuto viene mantenuto. La dote era composta anzitutto dal corredo tessile: lenzuola, materassi pieni e vuoti (un tempo venivano riempiti anche di paglia), tovaglie da tavola, tovaglie da bagno, scampoli, “matasse” di lino che poi la sposa riutilizzava per ricamare e preparare il corredo alle proprie figlie, cuscini, coperte e tutto ciò che potesse essere utile alla nuova casa dei sposi. Tradizione molto particolare era la mostra del corredo il Giovedì prima del grande giorno: nella giornata in cui le donne si recavano ad aggiustare il letto per gli sposi, il corredo veniva caricato su un carro e portato verso la nuova casa cosicché, gli abitanti del luogo, potevano verificare che la sposa convogliava a nozze rispettando la tradizione e accompagnata da una buona dote. Insieme al corredo il padre della sposa donava la stanza da letto e, se possedeva molti terreni, donava anche una “macchia” di terra affinché gli sposi potessero coltivarla e piantarvi ciò che serviva per il proprio sostentamento. La dote veniva quindi preparata sin dai primi anni in cui si iniziava a riempire “a cascia”, una cassapanca che veniva donata alla sposa. Quanti di noi ancora oggi conservano una “cascia” delle proprie nonne o bisnonne? un elemento che caratterizzava la vita del tempo. La dote assumeva però caratteristiche diverse a seconda del proprio ceto sociale: se infatti nelle famiglie di medio ceto sociale questa era caratterizzata dall’essenziale, nelle famiglie nobili subentrava la ricchezza poiché agli sposi oltre che al titolo nobiliare, venivano donati grandi possedimenti terrieri, parti di palazzi nobiliari, oro e stoffe pregiate le cui nobildonne commissionavano alle ricamatrici del tempo. Sono passati ormai anni dalla tradizione della sottoscrizione della dote davanti al notaio, però nei nostri paesini vi è ancora la cultura di donare alla sposa il corredo e, se possibile anche la casa che spesso viene regalata dai genitori dello sposo o della sposa a seconda delle proprie esigenze e possibilità. Solo in alcuni casi un tempo non veniva concessa la dote, uno in particolare quando c’era la famosa “ fuitina” in cui, i giovani sposi contro il volere dei propri genitori scappavano insieme e dopo aver vissuto la passione erano costretti a sposarsi per adempiere al proprio dovere e salvare l’onore della giovane ragazza ma questa, è un’altra storia…